Come vi dicevo gli umanisti e in particolare nella prima metà del Quattrocento scrivono principalmente in latino. Sostanzialmente gli intellettuali della generazione successiva a Petrarca si concentrano sullo studio dei classici e sulla scrittura per l'appunto in latino: sarà a partire dalla seconda metà del Quattrocento che tornerà in auge il volgare. Già Petrarca però, lo abbiamo visto, considerava che la sua fama presso la posterità dovesse essere affidata e consegnata proprio agli scritti in latino: e in effetti Petrarca anticipa moltissimi elementi dell'Umanesimo, al punto da poter essere considerato e da essere stato anche considerato un pre-umanista o un proto-umanista. Anche nella produzione in volgare Petrarca immette infatti un forte recupero della classicità, soprattutto latina, e proprio Petrarca (che era un vero e proprio bibliofilo) aveva iniziato quella pratica archeologica e filologica di riscoperta dei classici antichi che caratterizzerà poi l'umanesimo. Per esempio Petrarca proprio aveva ritrovato una importante epistola (cioè una lettera) di Cicerone e poi sulla scia anche di Petrarca gli umanisti porteranno alla luce e rimetteranno in circolazione moltissimi testi dell'antichità. La riscoperta degli antichi ha un impatto piuttosto cospicuo anche sui generi letterari praticati da questi intellettuali in particolare del primo Quattrocento. Alcune forme vengono rinnovate e vengono rivisitate, e altre trovano una nuova diffusione e diventano, possiamo dire così, "di moda". Anche se in questa fase, lo ricordo e lo sottolineo, predomina il latino, sul lungo periodo comunque questo rinnovamento anche formale si ripercuoterà anche sulla letteratura in volgare. Pensiamo ad esempio alla epistola in latino: si tratta di un genere che era già molto praticato nel Medioevo (Dante aveva scritto delle importanti epistole in latino così come Petrarca). Si tratta di una forma letteraria molto interessante perché l'epistola è di fatto nella forma una lettera, e quindi l'autore è il mittente e si rivolge a un destinatario. E insomma di fatto avrebbe o dovrebbe avere un contenuto e una fruizione privati, però di fatto in quanto genere letterario riprende (l'epistola) gli aspetti formali della lettera, quindi si rivolge a un interlocutore lontano, però è pensata per una fruizione pubblica. Si tratta di un genere letterario di una forma letteraria che in ambito umanistico, in periodo umanistico, ha una enorme diffusione e questo soprattutto intanto perché è un genere molto elastico, è un genere che permette di passare anche, a seconda del contenuto, di modulare il tono dal colloquiale a registri invece più solenni; ma inoltre gli umanisti (come avevo già anticipato) avevano una posizione molto cosmopolita, puntavano sullo scambio di idee, sulla circolazione dei saperi: e in questi termini in l'epistola era anche un modo per aggiornarsi a distanza e per creare una rete di sapere e una rete di contatti e di scambi. Quanto ai contenuti in forma di epistola venivano spesso prodotti per l'appunto dei veri e propri trattatelli scientifici o anche filosofici. Il modello principale per la scrittura di epistole è per l'appunto Cicerone; si tratta di un genere che è stato molto praticato (tra i vari esponenti che potremmo ricordare, citare) è stato molto praticato quello dell' epistola in latino da Coluccio Salutati: Coluccio Salutati che possiamo considerare il padre del l'umanesimo Fiorentino: è un intellettuale che ha avuto un enorme peso culturale e anche politico nella Firenze del primo Quattrocento. Salutati è autore di una grande quantità di epistole di argomenti molto vari molto diversi e sulla scia di Petrarca è proprio Coluccio Salutati a dare un nuovo impulso a questa forma letteraria. Non è dunque un caso che sia proprio un "allievo" tra virgolette di Coluccio Salutati, ovvero Poggio Bracciolini, ad essere ricordato in particolare per il suo epistolario: è proprio tramite, attraverso alcune molto celebri epistole che Poggio Bracciolini dà conto della scoperta, del ritrovamento, di alcuni importantissimi codici antichi, come per esempio alcune orazioni di Cicerone e in particolare come l'Institutio Oratoria di Quintiliano, che è un'opera importantissima per l'influenza che ha avuto e che ha tutt'ora sull'ars oratoria, quindi sulla capacità di esprimersi oralmente pubblicamente e in generale sulla retorica. Una funzione analoga a quella dell' epistola (quindi quella di diventare un contenitore per dei concetti dei contenuti che noi penseremmo di esprimere attraverso un trattato) funzione analoga è svolta in periodo umanistico dal dialogo. Anche il dialogo si sviluppa sul modello di Cicerone, anche se proprio a partire dal periodo umanistico, non è da sottovalutare l'influenza del modello platonico, modello che come vi ho detto comincia a trovare nuovo impulso e nuova diffusione proprio in questo periodo. Come la filosofia di Platone ci è nota, ci è stata tramandata in forma di dialoghi, così anche per gli umanisti il dialogo diventa insomma una forma, un genere, un contenitore in cui calare riflessioni di vario argomento che vanno dalla filosofia alla politica, passando per la retorica e la letteratura. Anche il dialogo non è un genere nuovo, non se lo sono inventato gli umanisti: se voi tornare un po' indietro con la memoria, vi ricorderete forse che anche il De Amore di Andrea Cappellano era in forma di dialogo... la cosa interessante per noi, per comprendere l'umanesimo, è osservare che in questo periodo il dialogo trova nuovo impulso anche perché per gli umanisti il sapere, la conoscenza, non è una cosa monolitica, una cosa rigida, data per assodato; nemmeno un qualcosa di calato dall'alto: la conoscenza è per gli umanisti il risultato di uno scambio di un dibattito: si sviluppa in una dimensione che è comunque interdialogica. E quindi il dialogo, in cui si immaginano due o più interlocutori fittizi che scambiano opinioni, si presta molto bene a riflettere l'approccio al sapere e alla conoscenza che era proprio degli umanisti. Nel Quattrocento (ma anche oltre a dire il vero) il dialogo continuava ad essere scritto sempre in latino: sono molto celebri nel periodo i dialoghi scritti da Leonardo Bruni, che era un altro "allievo" (tra virgolette) di Coluccio Salutati, ma c'è una eccezione piuttosto prestigiosa, ovvero i dialoghi in volgare fiorentino di Leon Battista Alberti. Alberti, personaggio molto interessante, perché era principalmente un architetto però di fatto un intellettuale "a tutto tondo" perché aveva interessi anche letterari politici matematici pure... e accanto oltre a dialoghi e trattati che Alberti scrive in latino (molto importante il suo trattato sulla pittura, il "De pictura", scritto ispirandosi a Vitruvio) insomma accanto a questi scritti in latino, Alberti è anche autore di un dialogo di tipo pedagogico morale in volgare, e si tratta dei dialoghi "della famiglia". Quello che mi importa è che voi ricordiate teniate presente che il dialogo è una forma espressiva che era e a lungo sarà utilizzata per dei contenuti che noi penseremo di esprimere in forma argomentativa, in forma di trattato filosofico, morale, ma anche scientifico; e che invece venivano calati in questo contesto più dialogico, che permetteva di seguire l'argomentazione anche introducendo delle domande da parte degli interlocutori, e quindi di approssimarsi alla tesi che si voleva trasmettere e esprimere in modo più progressivo e fluido. Ciò detto non è che il trattato non esistesse, anzi. Il trattato però (che a lungo resterà esclusivamente una forma in latino: latino lingua per l'appunto del sapere e della cultura e soprattutto anche della cultura scientifica) il trattato però si rinnova molto nel corso del Rinascimento e in particolare ad opera degli umanisti. Voi dovete infatti considerare e tenere presente l'enorme scarto culturale, l'enorme differenza di mentalità proprio tra Medioevo e Rinascimento, che emerge anche dall'analisi e dall'osservazione dei trattati. Nel Medioevo il trattato era usato per dimostrare una verità, per spiegare un concetto con argomentazioni logiche certo molto serrate, però anche appoggiandosi su alcune verità, alcuni assoluti, considerati universali, considerati intoccabili, che non venivano e non potevano essere messi in discussione o problematizzati. In particolare c'era un costante riferimento al mondo sacro e al mondo teologico. Le cose cambiano iniziano a cambiare con il trattato umanistico che si apre a una maggiore per l'appunto problematizzazione: quindi accanto alla argomentazione logica e quindi alla coerenza anche argomentativa viene data grande importanza e grande peso anche all'eleganza formale, e alla ricchezza di riferimenti al mondo classico (allo sfoggio anche se volete di erudizione...) tra gli autori di importanti trattati che possiamo citare per il periodo ricordiamo almeno Lorenzo Valla: Lorenzo Valla che era un po' il rivale se vogliamo di Poggio Bracciolini, nel senso che i due erano un po' in competizione e in particolare Poggio Bracciolini aveva ostacolato la carriera di Valla, che ambiva a diventare funzionario presso la Curia romana. Valla ha scritto soprattutto trattati di tipo filologico e linguistico, e ha avuto un ruolo molto importante per la nostra storia culturale perché oltre ad aver restaurato (quindi possiamo dire corretto, pulito dalle stratificazioni dalle sedimentazioni del tempo) i libri di Tito Livio sulla seconda guerra punica, riportandoli dunque più... riavvicinandoli alla loro veste anche e soprattutto linguistica originaria, Valla ha anche corretto niente popodimeno che la traduzione e il testo dei Vangeli... Tra i suoi trattati più famosi si ricorda L'elegantiarum latinae linguae, nel quale descrive per l'appunto l'eleganze della lingua latina classica. I suoi modelli i suoi punti di riferimento sono soprattutto Cicerone e Quintiliano e Valla se la prende con con le storture, con le brutture del latino medievale, ma anche del latino dei primi umanisti... Lingua che secondo Valla non aveva la qualità stilistica e l'eleganza del latino antico: quindi il tempo aveva portato sui testi, ma anche in generale sulla lingua utilizzata dai suoi contemporanei, aveva portato una sedimentazione una stratificazione di brutture, di storture... la lingua si era in un certo senso degenerata rispetto alla bellezza e all'eleganza che aveva in epoca classica. Un altro genere letterario che ha un grande impulso con l'umanesimo è quello dell'orazione che anch'essa diventa "di moda" nel periodo per imitazione di nuovo del modello ciceroniano (Cicerone imprescindibile per tutto l'umanesimo...) L'orazione è sarebbe dovrebbe essere di base la traccia scritta per un discorso orale, quindi da tenersi in pubblico, in un contesto pubblico; nel corso del tempo in alcuni casi l'orazione si svincola dalla sua funzione originaria e quindi il carattere di oralità resta solo fittizio. Per cui di fatto l'orazione diventa una sorta di trattatello, anche in questo caso gli argomenti poi possono essere i più svariati, che prende la forma di un discorso orale, formalmente da farsi in pubblico, anche se poi non è detto che questa orazione venga o sia stata realmente declamata. Sul piano retorico, però, mantiene (il genere, nella finzione letteraria) tutte le caratteristiche allocutorie dell'oralità. Tra le orazioni più celebri del Quattrocento (e siamo sempre in latino...) spostandoci, però cominciando a spostarci un po' più avanti nel tempo, quindi alla generazione successiva (siamo nella seconda metà del Quattrocento) ricordiamo l'orazione sulla dignità degli uomini (Oratio de hominis dignitate) di Pico della Mirandola. In realtà Pico difendeva in questa orazione ma anche in altri suoi scritti non soltanto il libero arbitrio, ma anche l'idea di trarre la verità, il sapere, non solo dalla Bibbia, ma anche dalla cultura e dalla tradizione classica. Questo però, questa sorta di competizione della tradizione classica con la tradizione invece cristiana, non era visto di buon occhio dal Papa... e infatti Pico si trova abbastanza in difficoltà, anche se poi cerca di difendere le proprie tesi... Pico della Mirandola troverà rifugio a Firenze in un contesto di grande apertura (come vedremo) presso Lorenzo de' Medici: è proprio a Firenze, alla corte (tra virgolette) di Lorenzo che Pico della Mirandola stringerà amicizia con tutti gli intellettuali che gravitavano attorno ai Medici, alla famiglia di Lorenzo de' Medici. E con questo anche noi (assieme a Pico della Mirandola) direi che possiamo spostarci dunque cronologicamente nella seconda metà del Quattrocento e stabilirci, almeno per un po', a Firenze per guardare più da vicino chi sono i protagonisti di quello che conosciamo ora come "ambiente Laurenziano" e per vedere anche come accanto all'Umanesimo latino comincia ad affermarsi una ripresa sostanziosa del volgare nutrita, comunque, da questo contatto con la classicità. Ripresa del volgare che ci riporta a pieno titolo nella storia della letteratura e della lingua italiana lasciando cosi un po' ai margini la gloriosa e importantissima stagione dell'Umanesimo latino.